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#direzionepd(2)

Il testo dell’ordine del giorno presentato da Cuperlo, Francesco Boccia Stefano Fassina, Pippo Civati e altri.

Rimasto agli atti.

INNOVAZIONE RISORSE DIRITTI.

PER L’ITALIA DEL CAMBIAMENTO.

Ordine del giorno presentato alla Direzione di lunedì 29 settembre 2014 su Delega Lavoro e Legge di Stabilità

“Fuori da questa crisi, adesso” è il traguardo del PD e del governo guidato oggi dal nostro Segretario.

Recessione e deflazione non sono il destino dell’Italia. Dobbiamo spingere il cambiamento oltre le vecchie convinzioni. Da questa crisi si esce scavando le fondamenta di un nuovo modello di crescita, sviluppo, democrazia.

Per riuscirci servono la concretezza delle azioni e il coraggio della discontinuità. La politica deve promettere quanto può mantenere. Per queste ragioni il legame tra la legge di Stabilità e il disegno di legge delega sul lavoro è decisivo. Se si vogliono estendere tutele e diritti universali a tutti i lavoratori è necessario uscire da una definizione generica degli obiettivi e delle platee interessate dal Jobs Act.

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L’articolo 6 (al comma 3) della legge delega, prevede che dall’attuazione delle deleghe non debbano derivare nuovi o maggiori oneri. Tradotto significa che l’effetto finanziario complessivo dei decreti legislativi che attueranno le deleghe dovrà essere neutro e non richiedere lo stanziamento di risorse dall’esterno, compresa, quindi, la legge di Stabilità, a meno che non si decida oggi quali sono gli obiettivi da finanziare, e in questo caso riteniamo necessario indicare subito le risorse aggiuntive per la copertura degli interventi previsti. (Su questo punto di merito rinviamo alla nota in calce a questo ordine del giorno).

Il premier ha parlato di uno stanziamento complessivo pari a 1,5 miliardi di euro. E’ necessario capire di cosa si sta parlando, in particolare se si tratta di risorse aggiuntive rispetto ai fondi della cassa integrazione in deroga. I disoccupati in Italia sono oggi oltre tre milioni. A questi va sommato il numero di coloro che le statistiche non registrano.

Riteniamo giusto estendere le tutele e prevedere un sussidio a chi cerca un lavoro agganciato a formazione e inserimento. Ma la cifra indicata è ‘matematicamente’ insufficiente a soddisfare tale obiettivo.

Noi vogliamo la riforma e la vogliamo concreta. Se si annuncia un provvedimento universale ma in assenza di coperture certe, il rischio è che il succo della riforma si riduca a eliminare ciò che rimane di quell’articolo 18 che – bisogna rammentarlo – non è una sopravvivenza dello Statuto del 1970. Quella norma non ha 44 anni. Ne ha solo 2 essendo stata radicalmente modificata solo nel 2012 dalla riforma Fornero.

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E’ giusto, quindi, chiedere ai gruppi parlamentari di approfondire e specificare con il governo i principi della delega, avendo chiarezza delle risorse necessarie e delle priorità di cui la legge di stabilità dovrà farsi carico anche al fine di migliorare il percorso attuativo.

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RIFORMARE IL MERCATO DEL LAVORO

Lo ripetiamo: fare le riformecontrastare la precarietàdisboscare la giungla contrattualeimmettere tutele in una visione universale del diritto e dei diritti è la strada giusta.

Anche per questo serve un impegno coerente da parte di tutti, nel PD, in Parlamento, nei sindacati e nelle associazioni di categoria. Perché riforme e trasformazioni uniscano un Paese oggi diviso.

Diviso tra Nord e Sud, tra le generazioni, tra occupati e precari. Diviso da divari salariali, compresi quelli tra donne e uomini, e compensi inconcepibili. Da questo punto di vista è fondamentale azionare la leva di una riforma fiscale fondata sull’equità.

Un contratto unico a tutele progressive può contribuire a superare l’attuale segmentazione del mercato del lavoro. Sulla durata della prova è possibile discutere tenendo conto della richiesta dell’Europa per un periodo di prova più lungo. Superata positivamente la prova e in caso di assunzione a tempo indeterminato all’azienda dev’essere riconosciuto un significativo sconto fiscale.

Vanno ridistribuite le ore lavorate e stimolati i contratti di solidarietà con politiche di defiscalizzazione. Vanno inoltre eliminate le agevolazioni fiscali per gli straordinari.

E’ giusta la strada intrapresa sulla estensione del diritto di maternità a tutte le lavoratrici.

Lo stesso diciamo per una revisione complessiva degli ammortizzatori con un sussidio di inserimento al lavoro, agganciato alla disponibilità a percorsi di formazione e inclusione.

Bisogna rivoluzionare e dotare di adeguate risorse umane e finanziarie la spesa per le politiche attive, vero ritardo del nostro sistema di orientamento e intermediazione.

E poi, “ferie solidali”, salario orario minimo per le figure non contrattualizzate.

Affidare alla contrattazione delle forze sociali le norme sul demansionamento (a parità di salario), superare o limitare fortemente il ricorso ai voucher.

Quanto all’articolo 18, come detto, è stato ampiamente riformato dalla legge Fornero del 2012. Il ricorso al giudice si è ulteriormente ridotto. Lo strumento della conciliazione ha aumentato in modo significativo la sua incidenza.

Il diritto di reintegra nei casi di discriminazione (per motivi connessi a credo religioso, genere, opinioni politiche e sindacali, etnia o orientamento sessuale) è garantito per tutti i lavoratori, a prescindere dalle dimensioni dell’impresa, dalla legge n. 108 del 1990, in armonia coi principi sanciti dalla Costituzione e dalla Carta fondamentale dei diritti della Unione Europea.

Cancellare in via di principio alla fine del periodo di prova la possibilità (attenzione, possibilità, non obbligo) di reintegro in caso di licenziamenti gravemente illegittimi o in ragione di altre possibili discriminazioni, equivale a ridurre la dignità del lavoratore. Del resto, non per caso, quella possibilità è oggi prevista in gran parte d’Europa.

Il rischio è di imboccare la strada della svalutazione del lavoro in ragione di una insostenibile competizione di costo. Praticamente tutti riconoscono che non passa da qui né il rilancio dell’impresa in termini di produttività e competitività né la ripresa dell’occupazione.

Ma è proprio questa convinzione che ci spinge a ricercare ancora, anche nel lavoro dei gruppi parlamentari, una soluzione convincente, saggia e condivisa oltre le divisioni di questi giorni.

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Riformare il mercato del lavoro si può e si deve. 

Difendere ed estendere i diritti e la dignità di chi lavora è un principio della sinistra europea e del PD.

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Nota sul link tra Jobs Act e legge di Stabilità: Poiché le deleghe previste dalla riforma saranno attuate mediante più decreti legislativi, il disegno di legge precisa che, qualora “uno o più decreti attuativi determino nuovi o maggiori oneri non compensati al proprio interno, tali decreti devono essere emanati solo successivamente o contestualmente all’entrata in vigore di quelli che produrranno i necessari effetti finanziari positivi”. È evidente che la delega, per come è scritta adesso, non consente alcuna estensione e finanziamento dei diritti universali. L’Italia vive la ‘coda’ della crisi senza l’accesso a due leve fondamentali: la politica fiscale (vincolata dal patto di stabilità) e la politica monetaria (nella sola disponibilità della Bce). In assenza di tali leve la nostra azione ha deciso di concentrarsi sulle riforme istituzionali e su misure volte a incidere sugli assetti economici e sul rapporto tra produzione del valore e lavoro. 

Le regole attuali, in presenza di una situazione di bassa crescita, o più spesso recessione e deflazione, vanno riconsiderate? Potrebbe essere il caso dell’effetto congiunto della regola del pareggio di bilancio e della regola sul debito.

In condizioni normali il Pil nominale cresce, sia pur di poco, anche in assenza di crescita reale, per l’aumento del livello generale dei prezzi. Poiché, con riguardo agli effetti sul debito, ciò che di esso va ridotto di un ventesimo in media all’anno non è lo stock di debito in valore assoluto, bensì il rapporto tra due variabili espresse in termini nominali (il debito a numeratore, il Pil a denominatore), è evidente che, in presenza di un sostanziale equilibrio di bilancio la crescita del Pil nominale tende a ridurre il rapporto debito/Pil, con la conseguenza che possono evitarsi manovre correttive addizionali.

Il problema si pone quando il Pil nominale si riduce. Un evento che, nel nostro Paese è capitato  tre volte soltanto nel dopoguerra, ma tutte e tre nel corso della crisi economica post-2008: nel 2009, nel 2012 e nel 2013. Possiamo restar fermi così e come unica proposta chiedere l’abolizione dell’art.18? 

A questa situazione, fonte di possibili gravi problemi non sembra possibile fare  fronte con l’incerta flessibilità prevista dall’impalcatura delle regole europee. Flessibilità non trasparente, e soprattutto insufficiente. Senza per altro la certezza di una politica anticiclica discrezionale a livello europeo (quale sarebbe consentita da un robusto bilancio federale, come negli Stati Uniti), o quantomeno coordinata in modo vincolante tra tutti i paesi dell’Unione monetaria. 

Se, inoltre, come molti ritengono, la riduzione del Pil potenziale fosse da attribuirsi in misura rilevante alle politiche di austerity avviate in tutta l’Eurozona, avremmo il paradosso di una riduzione della crescita potenziale innescata da politiche di bilancio restrittive all’origine di un peggioramento dei saldi strutturali, i quali dovrebbero portare a ulteriori misure di austerity. 

Se quest’analisi è condivisa, allora non si comprende perché nel PD non si debba discutere e approvare prima una proposta di costruzione di diritti universali sul modello tedesco, poi su quali debbano essere le scelte prioritarie da inserire nella manovra triennale, giungendo così alla definizione di una riforma del mercato del lavoro fondata su certezze condivise nei traguardi e nei numeri. 

Il limite del confronto attuale è nell’enunciare principi che lasciano tuttora spazio a traduzioni di segno diverso. Mentre il Parlamento non può sottoscrivere una delega in bianco. Da qui il nostro appello ad approfondire la discussione, anche dopo la riunione della Direzione del 29 settembre, nei gruppi parlamenti allo scopo di individuare una soluzione realistica, innovativa e condivisa.

#direzionepd

L’ordine del giorno sul Jobs Act (140929)

Approvando la relazione del Segretario, il Partito Democratico non può perdere questa occasione per realizzare un mercato del lavoro che estenda i diritti e le tutele a quei lavoratori che oggi non li possiedono e dove nessuno sia più abbandonato al proprio destino.

Intendiamo raggiungere questo obiettivo con una riforma di sistema che
estenda i diritti nel rapporto di lavoro a chi oggi non ne ha di adeguati e universalizzi le tutele nella disoccupazione;
aumenti la produttività favorendo la mobilità dei lavoratori verso impieghi che migliorino il loro reddito e le loro prospettive, senza scaricare solo su di loro i costi di questo aggiustamento.

Per questo sosteniamo il Governo a guida del Partito Democratico a mettere immediatamente in campo strumenti coerenti con questi obiettivi.

1. Una rete più estesa di ammortizzatori sociali rivolta in particolare ai lavoratori precari, con una garanzia del reddito per i disoccupati proporzionale alla loro anzianità contributiva e con chiare regole di condizionalità attraverso un conferimento di risorse aggiuntive a partire dal 2015.

2. Una riduzione delle forme contrattuali, a partire dall’unicum italiano dei co.co.pro., favorendo la centralità del contratto di lavoro a tempo indeterminato con tutele crescenti, nella salvaguardia dei veri rapporti di collaborazione dettati da esigenze dei lavoratori o dalla natura della loro attività professionale.

3. Servizi per l’impiego volti all’interesse nazionale invece che alle consorterie territoriali, integrando operatori pubblici, privati e del terzo settore all’interno di regole chiare e incentivanti per tutti.

4. Una disciplina per i licenziamenti economici che sostituisca l’incertezza e la discrezionalità di un procedimento giudiziario con la chiarezza di un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità, abolendo la possibilità del reintegro. Il diritto al reintegro viene mantenuto per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare, previa qualificazione specifica della fattispecie.